Perché più spingi tuo figlio a studiare e più si allontana: la scoperta che nessun genitore conosce

Vedere un figlio perdere slancio negli studi universitari o nella formazione professionale rappresenta una delle sfide più delicate che un genitore possa affrontare. Non si tratta semplicemente di voti insufficienti o di esami rimandati: dietro questa apparente mancanza di motivazione si nasconde spesso un groviglio di paure, incertezze e pressioni che merita di essere compreso prima ancora che risolto.

Numerosi studenti universitari si trovano ad affrontare difficoltà significative già al primo anno, con tassi di abbandono che rappresentano una sfida importante nel sistema formativo italiano. Molti altri proseguono senza convinzione, trascinandosi in una condizione di stallo che genera tensioni familiari quotidiane. Questo fenomeno non nasce nel vuoto: viviamo in un’epoca caratterizzata da cambiamenti rapidissimi nel mercato del lavoro, dove le certezze professionali di una generazione sono diventate interrogativi per quella successiva.

Quando la pressione diventa controproducente

La prima trappola in cui molti genitori cadono è quella di intensificare il controllo e moltiplicare i discorsi motivazionali. Frasi come “devi pensare al tuo futuro” o “noi alla tua età facevamo sacrifici” nascono da preoccupazione genuina, ma vengono percepite dai giovani adulti come ulteriore peso da sopportare. Il paradosso è evidente: più spingiamo, più loro si ritirano.

Se stimolare un figlio a dare il meglio e a migliorarsi è un aspetto positivo che incoraggia anche una sana ambizione, andare oltre ed esagerare caricandolo di troppe attese rischia di avere conseguenze negative. I ragazzi con genitori eccessivamente pressanti, anche quando raggiungono ottimi risultati, tendono a sperimentare insicurezza e ansia che minano la loro serenità.

La fascia d’età tra i 20 e i 25 anni rappresenta una fase critica dello sviluppo, caratterizzata da instabilità identitaria e sperimentazione. In questo periodo, il bisogno di autonomia decisionale diventa prioritario rispetto all’adesione alle aspettative altrui, anche quelle genitoriali.

Riconoscere i segnali oltre la demotivazione

Prima di etichettare un figlio come “svogliato” o “senza ambizioni”, occorre indagare cosa si nasconde dietro il suo comportamento. Uno scarso rendimento scolastico rappresenta spesso la conseguenza di un disagio emotivo più profondo. La demotivazione nello studio può essere sintomo di diverse condizioni che meritano attenzione e comprensione.

Una scelta formativa non allineata con le proprie inclinazioni, spesso fatta per accontentare aspettative familiari, può essere il primo fattore da considerare. Stati d’ansia o depressivi bloccano la capacità di concentrazione e progettualità, rendendo impossibile mantenere un impegno costante. La sindrome da paralisi decisionale, causata dall’eccesso di possibilità e dall’assenza di riferimenti stabili nel mercato del lavoro, paralizza molti giovani davanti alle scelte. Difficoltà relazionali o problemi di integrazione nel contesto universitario giocano un ruolo cruciale, così come la percezione di inadeguatezza rispetto a standard accademici sempre più competitivi.

Strategie di comunicazione che funzionano davvero

Trasformare il conflitto in dialogo richiede un cambio radicale di prospettiva. Invece di porsi come giudici del percorso altrui, i genitori possono diventare facilitatori di consapevolezza. Questo significa sostituire le domande chiuse come “Hai studiato oggi?” con domande aperte che stimolino la riflessione, ad esempio “Cosa ti ha fatto capire che questo percorso non ti convince?”.

Approcci clinici basati sul colloquio motivazionale possono ispirare anche il contesto familiare. Si basano sul principio che la motivazione al cambiamento non può essere imposta dall’esterno ma deve emergere dall’interno della persona. Il ruolo del genitore diventa quello di aiutare il figlio a esplorare le proprie ambivalenze, riconoscere i propri valori e identificare i propri obiettivi autentici.

La relazione genitore-figlio è un fattore cruciale nell’incrementare la motivazione all’apprendimento. Lavorare sulle proprie aspettative, dare prima il rinforzo positivo e sostenere i ragazzi nei loro interessi autentici sono strategie che hanno dimostrato efficacia nel tempo.

L’ascolto attivo come ponte generazionale

Ascoltare veramente significa sospendere il giudizio e la fretta di fornire soluzioni. Quando un giovane adulto condivide dubbi sul proprio percorso, l’impulso naturale è rassicurare o correggere. Più efficace è restituire ciò che si è compreso, ad esempio “Se ho capito bene, senti che ti manca una direzione chiara”, e validare l’emozione con frasi come “È comprensibile sentirsi spaesati in questo momento”.

Questa modalità comunicativa crea quello spazio di sicurezza emotiva necessario affinché il figlio possa esplorare le proprie difficoltà senza sentirsi ulteriormente inadeguato. Il dialogo costruttivo permette di creare un clima in cui i ragazzi si sentono compresi piuttosto che giudicati, favorendo l’apertura e la condivisione.

Ripensare il concetto di successo

Molti conflitti nascono da una divergenza profonda su cosa significhi avere successo. Per molti genitori, formati in un’epoca di maggiore linearità professionale, il successo passa necessariamente attraverso una laurea e un’occupazione stabile. I giovani adulti di oggi si confrontano con un panorama lavorativo fluido, dove competenze trasversali, creatività e capacità di reinventarsi contano quanto i titoli formali.

Accettare che il percorso di un figlio possa essere meno lineare di quanto immaginato non significa rinunciare ad avere aspettative, ma ampliare la definizione di cosa costituisce un percorso di crescita valido. Esperienze all’estero, tirocini o cambi di facoltà possono sembrare deviazioni dal tracciato, ma rappresentano spesso momenti di maturazione fondamentali che arricchiscono il bagaglio personale e professionale.

Quando chiedere aiuto professionale

Alcuni segnali indicano che il supporto familiare, per quanto amorevole, potrebbe non essere sufficiente. Se la demotivazione si accompagna a ritiro sociale, alterazioni significative del sonno o dell’alimentazione, espressioni di disperazione o perdita di interesse in attività un tempo piacevoli, è opportuno consultare uno psicologo specializzato in giovani adulti.

La mancanza di motivazione intrinseca verso qualsiasi aspetto della vita rappresenta un campanello d’allarme che merita attenzione professionale. Anche l’orientamento può giocare un ruolo cruciale, aiutando i giovani a mappare competenze, valori e interessi in modo strutturato, fornendo quella chiarezza che spesso manca quando si è immersi nella confusione del momento.

Il ruolo delle aspettative intergenerazionali

È fondamentale che i genitori riconoscano quanto le proprie aspettative siano influenzate da bisogni personali non sempre esplicitati: il desiderio di riscatto sociale, la proiezione di sogni non realizzati, il timore del giudizio altrui. Questo lavoro di consapevolezza, per quanto difficile, permette di separare ciò che è genuinamente nell’interesse del figlio da ciò che risponde a dinamiche familiari più complesse.

Cosa si nasconde davvero dietro la demotivazione universitaria?
Scelta sbagliata del percorso
Ansia e blocco emotivo
Troppa pressione dei genitori
Paura del futuro incerto
Mancanza di senso e direzione

La ricerca in psicologia dello sviluppo ha dimostrato come i mandati familiari impliciti, quelli del tipo “Nella nostra famiglia ci si laurea” o “Dobbiamo dimostrare che valiamo”, possano influenzare significativamente i percorsi decisionali dei giovani adulti, diventando catene invisibili che impediscono di esplorare autenticamente la propria strada.

Costruire alleanze invece che fronti

La demotivazione di un figlio può diventare un’opportunità per ridefinire la relazione su basi più mature. Questo richiede ai genitori di accettare un ridimensionamento del proprio ruolo: non più guide che indicano la strada, ma compagni di viaggio che offrono supporto mentre il giovane adulto trova la propria direzione.

Stabilire confini chiari ma flessibili è parte di questo processo. È legittimo, ad esempio, concordare un periodo di tempo entro cui aspettarsi una decisione o un impegno concreto, purché questo venga negoziato insieme e non imposto. Allo stesso modo, è possibile discutere apertamente di questioni pratiche come il contributo economico familiare, trasformando potenziali motivi di conflitto in occasioni di responsabilizzazione.

Aiutare i ragazzi a tollerare l’insuccesso, a vedere gli errori come opportunità di crescita piuttosto che come fallimenti definitivi, rappresenta forse il regalo più prezioso che un genitore possa fare. Genitori che permettono autonomia favoriscono infatti la motivazione intrinseca, quella spinta interna che nessuna pressione esterna può sostituire.

Affrontare la demotivazione di un figlio negli studi significa accettare di navigare l’incertezza insieme, riconoscendo che non esistono formule magiche ma solo la pazienza di costruire giorno per giorno un dialogo autentico. E proprio in questa quotidianità, fatta di ascolto e rispetto reciproco, si nasconde la vera eredità che possiamo lasciare: la fiducia nella capacità di ciascuno di trovare il proprio posto nel mondo, anche quando il percorso per arrivarci appare tortuoso e imprevedibile.

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